venerdì 12 settembre 2014

Il nuovo libro di Monia Benini, L’Unione Europea: il mito e la realtà
Un libro che svela i retroscena di una Europa schiava di una oligarchia "occulta"






Qui di seguito potrete leggere l'anteprima del libro


Capitolo I
Ripartiamo dalla ‘casa’ ricevuta in eredità


A volte ho l'impressione che la maggior parte dei politici non abbia ancora capito quanto essi siano già sotto il controllo dei mercati finanziari, e siano persino dominati da questi”
H.Tietmeyer, ex presidente della Bundesbank, al Forum di Davos del 1996

In Liberarsi dalla dittatura europea, tutto il ragionamento si è sviluppato attraverso l'esempio di questa Unione Europea paragonata a una casa ricevuta in eredità. 

Una casa con le fondamenta intaccate, fatiscente e a continuo rischio di crollo; un edificio che qualcuno si ostina a voler stuccare, ritinteggiare, riarredare, nonostante la struttura sia compromessa. 
L’europeismo ideologico, quello del ‘senza se e senza ma’, ci tiene segregati in quell’edificio ricevuto in eredità da forze politiche compromesse con i 'costruttori' e ogni tanto… cede un soffitto o un pavimento oppure ci cade una tegola in testa.
Cambiando esempio, si potrebbe paragonare l'attuale struttura europea a una pianta che si vorrebbe forte e rigogliosa. Un’Europa dunque che appartenga ai cittadini europei, trasparente, partecipata, pacifica, basata sul reciproco rispetto e sulla condivisione politica e culturale degli Stati e dei popoli membri. Peccato però che questa pianta non solo abbia un tumore alle radici, ma sia addirittura colma di metastasi in tutte le sue parti.

Un tumore alla radice

La pianta europea è cresciuta partendo da una massa anomala innata nel progetto, che è in seguito proliferata, causando la malattia, o per meglio dire la degenerazione di varie parti della struttura. Una sorta di pianta 'geneticamente modificata’, un OGM creato nei laboratori della grande finanza. Perché parlo di un'Europa OGM? 
Innanzitutto è bene precisare che questa Unione Europea non è un'organizzazione fra governi (come ad esempio l'ONU) e tanto meno una federazione fra Stati (come sono gli USA). Questa Unione è un'istituzione inedita, che ha sottratto sovranità ai paesi membri attraverso trattati e accordi incostituzionali e con l'imposizione di fonti giuridiche di rango superiore a quelle nazionali, oltre ad atti e direttive vincolanti per i paesi della UE.
Andiamo però per gradi e partiamo dall’inizio. Partiamo da quegli ‘aiuti’ che hanno portato alla nascita della CEE, la Comunità Economica Europea. Come ho già scritto, la cornice negoziale che portò alla creazione del Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (1951) e alla firma del trattato di Roma nel 1957 che avviò la Comunità Europea, è in gran parte costituita dalla OCEE, l'Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea. Tale struttura fu istituita nella capitale francese nell'ambito di realizzazione del Piano Marshall, ufficialmente noto come ERP: European Recovery Plan. 

Nella OCEE entrarono subito Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Svizzera, Turchia, oltre a Canada e Stati Uniti, mentre la Germania Occidentale fu ammessa solo dopo la sua nascita formale, ovvero nel 1949. 

Nell'insieme, il piano Marshall per l'Europa (attivo dal 1948 al 1951), rappresentò l’unico modo per poter ottenere in prestito quanto serviva per acquistare materie prime, mezzi di produzione, beni industriali e di consumo dagli Stati Uniti, che poterono così affermare una posizione di predominio in larga parte dell’Europa: il Piano divenne quindi un utilissimo cavallo di Troia degli USA per impadronirsi dei mercati europei, soggiogare l’economia e gli apparati produttivi europei, anche attraverso quelle corporations che, con aiuti diretti del governo USA e con la grande domanda europea, si trasformarono ben presto nelle attuali multinazionali globalizzatrici. Fu lo stesso sottosegretario statunitense per gli affari economici Will Clayton a dichiarare i motivi profondi che stavano alla base del piano Marshall: “Ammettiamolo apertamente,” disse in difesa dell'idea degli aiuti esteri “che abbiamo bisogno di mercati – grandi mercati – nei quali comprare e vendere.” 
In sostanza dunque l'intenzione non è di aiutare i paesi stranieri, ma quella di rinsaldare e sviluppare nuove sinergie tra politica, finanza e corporations che effettivamente ottengono i contratti mentre il governo acquista influenza politica all'estero. Will Clayton pubblicizzò il Piano Marshall come il trionfo della "libera impresa" ed ebbe modo di asserire che “dovremmo riordinare e riadattare la nostra intera economia in questo paese se perdessimo il mercato europeo”.
Un'ulteriore conferma viene da Robert D. Hormats, sottosegretario di Stato americano per la crescita economica, l'energia e l'ambiente che recentemente ha dichiarato: “Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i leader americani riconobbero che il nostro comune futuro – non solo quello dell'Europa – dipendeva dalla ricostruzione post bellica europea (…). Ecco perché il Piano Marshall combinando la sicurezza con una forte dimensione economica ottenne un simile supporto da parte degli Stati Uniti.”. Seguendo i vari passaggi del piano Marshall, risulta ancora più evidente il peccato originale di questa Europa, nata fondamentalmente sul pilastro degli scambi economici e per soddisfare le esigenze del mercato e delle corporations statunitensi. Concetto ribadito senza esitazione anche dallo speculatore finanziario (come egli stesso ama definirsi), naturalizzato statunitense, George Soros: “La nostra grande fortuna alla fine della Guerra fu il piano Marshall. Senza di questo l'Unione Europea non sarebbe stata affatto pensabile, fu la sua levatrice.”
Da questo seme, germogliò in seguito una pianta il cui sviluppo era già pesantemente minacciato, come si può chiaramente scorgere ancora oggi rileggendo il Dossier Pierre Werner (1970) contenente il Rapporto al Consiglio e alla Commissione sulla realizzazione a tappe di un processo unificatore: “Unione economica e monetaria significa che le decisioni principali di politica economica saranno assunte a livello Comunitario, perciò i poteri necessari saranno trasferiti dal livello nazionale a quello dell’Unione.” 
Ed è proprio quanto è stato fatto con l’approvazione del trattato di Maastricht nel 1992 e la creazione della Banca Centrale Europea, alla quale i paesi membri hanno ceduto la propria sovranità monetaria (e in larghissima parte anche economica). L'Italia è stata trascinata all'interno di questa gabbia con una propaganda senza pari, con finanziarie di lacrime e sangue, con un prelievo forzoso notturno, con trucchi contabili e con il segreto di Stato imposto dal governo tecnico Dini attraverso il Decreto Legislativo 561 del 1995. 
Dove ci siamo ritrovati? Non certo nel paese dei balocchi. 
Ci siamo ritrovati all'interno di un mercato comune (difficile parlare di unione monetaria, dato che oggi nell'Unione Europea numerosi stati hanno mantenuto la propria valuta nazionale), in un'area che ha adottato l'Euro, ossia quella moneta definita irrinunciabile perché assicura il primato dell'economia tedesca. Peccato però che oltre alla Germania vi siano altri 27 Stati nell'Unione e che riesca difficile da accettare una valuta che garantisce il vantaggio tedesco a discapito, come avviene nella realtà, degli altri. Certo, c'è anche chi, come il Presidente della Repubblica italiana, Napolitano, si spinge a giustificare il tutto come una forma di solidarietà involontaria, ma chi ha perso casa, lavoro, azienda, futuro... credo non apprezzerà di sapere di essere stato suo malgrado generosamente immolato per solidarietà con l'esigenza di assicurare il primato dell'economia tedesca in Europa. 
Per il finanziere speculatore George Soros, invece, l'euro esiste e il suo collasso provocherebbe perdite incalcolabili al sistema bancario.Al sistema bancario dunque, e non ai popoli europei (e non a caso tutta una serie di strumenti e meccanismi europei sono stati ideati appositamente per essere salva-banche, travestiti da salva-Stati). 
Ci siamo ritrovati nella gabbia di una moneta il cui giudizio da parte di Kevin Hjorts’S O'Rourke, nell'articolo Whither the Euro?, pubblicato sul numero di marzo 2014 della rivista Finance & Development (del Fondo Monetario Internazionale), non può certo dirsi lusinghiero: ‘Se alla fine l'euro fosse abbandonato, penso che fra cinquant'anni gli storici vorranno sapere come èaccaduto che sia stato introdotto”.
In effetti, secondo Soros, la situazione è stata sottovalutata sin dall'inizio, sia in Europa che negli USA: “Nessuno di noi, non mi tiro affatto fuori, riconobbe la grave debolezza dell'Unione Monetaria, ovvero che gli Stati membri della UE cedevano alla Banca Centrale Europea il diritto di stampare denaro nella propria valuta. Vale a dire, in futuro, essi dovevano prendere a prestito denaro in una valuta che loro stessi non potevano controllare. Il controllo avveniva attraverso l'eurogruppo, non attraverso i singoli Stati. Si ritrovavano quindi nella stessa situazione degli Stati del Terzo Mondo, costretti a prestiti in dollari o in euro. 
In questo modo dovevano di colpo far fronte a una possibile bancarotta dello Stato. Questa bancarotta non rappresenta mai un'opzione finché gli istituti di emissione pubblici possono stampare moneta per pareggiare i conti o pagare gli interessi.” 
Opzione invece più che concreta nei paesi dell'Eurozona, dove gli istituti di emissione (Banche Centrali) sono spesso di proprietà privata – come in Italia – e dove soprattutto non possono più stampare denaro, avendo ceduto la loro sovranità in materia alla Banca Centrale Europea. I vertici della BCE, come quelli delle altre istituzioni europee dotate di potere decisionale concreto, non sono eletti dai cittadini, né sono sottoposti ad alcun tipo di controllo da parte degli elettori. Andiamo a votare ogni 5 anni per un Europarlamento che ha funzioni prevalenti di carattere consultivo: si esprime cioè con pareri su documenti redatti e presentati dal Consiglio e dalla Commissione Europea, ma chi legifera in concreto sono queste ultime. Siamo governati da istituzioni nominate e non elette, distinte e distanti da qualsivoglia forma di democrazia, sia che intendiate questo concetto come governo del popolo sia che, ancor più, la immaginiate come il popolo al potere.
Giuseppe Guarino, giurista, già ministro delle Finanze, spiega con lucidità la portata del trattato di Maastricht e come questo sia stato stravolto da un regolamento, all'apparenza innocuo, approvato a distanza di alcuni anni. Nel Trattato sull'Unione Europea (TUE), infatti, ci sono due articoli (102 A e 103) che stabiliscono che il compito di provvedere allo sviluppo spetta a ciascuno Stato membro, che dovrebbe quindi realizzarlo attraverso una propria politica economica. Invece ci si è trovati a subire le conseguenze di un colpo di Stato, ossia – come spiega Guarino – con una modifica degli aspetti fondamentali del “sistema costituzionale di uno Stato, con violazione delle norme vigenti”. 
Infatti, in maniera fraudolenta fu introdotto un regolamento, il 1466 del 1997, con cui fu violato il diritto costituzionale degli Stati: “La sovranità degli Stati membri è stata vulnerata perché è stata loro sottratta la funzione 'esclusiva' (…) di promuovere lo sviluppo dell'UE e della zona euro con le proprie 'politiche economiche'. La Costituzione degli Stati è stata violata perché sono stati imposti ai loro organi interni obblighi e condotte che i rispettivi ordinamenti costituzionali non contemplano.” Il risultato è, secondo il giurista, l'entrata in vigore di una moneta soggetta a una disciplina diversa da quella prevista dall'originale trattato di Maastricht, attraverso un procedimento di regolamentazione che ha modificato e violato lo stesso trattato. 
Ciò basterebbe a fornire le basi necessarie a riconoscere come ‘odioso’ o ‘detestabile’ l'attuale debito (e ciò permette, dal punto di vista del Diritto Internazionale di metterlo in discussione e, se è il caso, di non onorarlo, del tutto o in parte), contratto principalmente – dati alla mano – in seguito all'entrata in vigore del trattato stesso.
L'ex ministro precisa inoltre che il regolamento n. 1466 ha sostituito l'obiettivo della crescita (previsto dagli articoli 102 A, 103, 104 c del Trattato di Maastricht) con il “pareggio del bilancio da conseguirsi a medio termine con l'osservanza di uno specifico percorso.” Il “diritto/potere” degli Stati membri di concorrere alla crescita attraverso le proprie politiche economiche viene ribaltato nell'obbligo del pareggio di bilancio a medio termine. Il risultato è tale da far accapponare la pelle: “Cancellando la capacità degli Stati membri senza deroga di compiere scelte autonome di politica economica finalizzata alla crescita, si è preclusa ai loro cittadini qualsiasi possibilità di influenzare le decisioni di politica economica, ai cui effetti vengono assoggettati. La democrazia è principio fondante dell'UE. Nessuno Stato può esservi ammesso se il suo ordinamento non sia conforme al principio democratico. La democrazia (…) consiste nel potere dei cittadini di influire con il voto, in modo diretto o indiretto, sulle decisioni di governo cui andranno soggetti.” 
Con l'entrata in vigore del regolamento n. 1466 del 1997 c'è quindi stata, di fatto, una soppressione del regime democratico per quanto riguarda le politiche economiche e monetarie dei vari paesi membri.

Con buona pace di chi inneggiava nel 2008 al Trattato di Lisbona (approvato all'unanimità in Senato, con i voti di PD, PDL, Lega, IDV, UDC, SVP) come strumento di ampliamento democratico europeo, anche questo si è rivelato un congegno per soggiogare popoli e nazioni. Lo stesso Giscard d’Estaing, in un intervento del 30 ottobre del 2007, (vedi nota 18) spiegava che “Il Trattato è uguale alla Costituzione bocciata. Solo il formato è differente, per evitare i referendum.” Infatti dopo la bocciatura attraverso referendum in Francia e nei Paesi Bassi della Costituzione Europea, il contenuto del testo fu riproposto sostanzialmente sotto forma di trattato. Lo stesso testo, uscito dalla porta e rientrato, dopo un cambio di veste, dalla finestra. 

Il trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1 dicembre 2009 e ha riposto tutte le funzioni della Comunità europea in seno all'Unione Europea. Il consolidato derivante dal trattato istitutivo della CEE (1957), Maastricht (1992), Amsterdam (1997), Nizza (2000) e Lisbona (2007) è oggi riportato nel trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, capace di nascondere insidiose contraddizioni al proprio interno. 
È il caso dell'articolo 151 (TFUE) dove si legge che:“L'Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione.” 
Basterebbe prendere atto dei risultati oggettivi portati oggi dall'Unione per rendersi conto di come questa parte sia stata palesemente disattesa, per supportare invece l'esatto opposto, declinato nel prosieguo dello stesso articolo: “A tal fine, l'Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia dell'Unione.” È del tutto evidente che la promozione dell'occupazione, un miglioramento delle condizioni di lavoro e una protezione sociale adeguata sono confliggenti con il mantenimento della competitività dell'Unione: è forse possibile essere competitivi ad esempio con la Cina o con gli stessi paesi appena entrati nell'Unione Europea mantenendo elevati standard retributivi e di tutela dei lavoratori?

E che dire dell'articolo 28A che prevede: “La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L'esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.” Alla faccia dell'articolo 11 della Costituzione e del ripudio della guerra, almeno ora si comprende perché sia così impellente l'acquisto dei cacciabombardieri F35: servono mezzi militari per garantire la politica estera e di difesa comune dell'Unione. Cornuti e mazziati, vista la spesa folle, dati i problemi tecnici dei veicoli aerei e tenuto conto del fatto che non avremmo certo bisogno di rincorrere gli spasmodici istinti ‘pacifinti’ della NATO (gestita dagli USA e che decide le scelte militari e di politica estera dei paesi dell'UE) o di altri paesi membri di questa Unione, creata con un colpo di Stato che ha violato lo stesso trattato costitutivo (Maastricht). 

La presa in giro dei cittadini è cominciata peròcon le dichiarazioni di Jean Monnet in una lettera che data addirittura 1952: ‘Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un SuperStato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potràessere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e una finalitàmeramente economica.” Molto piùrecentemente, in un articolo pubblicato da La Stampa il 13 luglio del 2000 (a cura di Barbara Spinelli, che riporta senza battere ciglio una dichiarazione mostruosa), ancor prima della circolazione esclusiva dell'Euro, si getta la maschera: ‘Bisogna agire ‘come se’, in Europa: come se si volessero poche cose, per

ottenerne molte.  Come se gli Stati restassero sovrani, per convincerli a non esserlo più La Commissione di Bruxelles, ad esempio, deve agire come se fosse un organo tecnico, per poter operare alla stregua di un governo. E cosìvia, dissimulando e sottacendo.” Parola di Giuliano Amato.
Insomma un colossale castello di carte che si regge, sui trattati e, come si dirà più in dettaglio, su un unico pilastro granitico: la grande finanza internazionale e l'abominevole potere di un sistema costituito da multinazionali, politici e media, asserviti al dio denaro.
Una pianta malata, con un tumore ormai diffuso in tutti i suoi apparati.

Una pianta che ci toglie ossigeno
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione: Art.1, comma 2, Costituzione italiana
Un'utopia, oggi: la sovranità popolare. In base alla nostra Costituzione le scelte politiche dello Stato si dovrebbero basare sulla volontà dei cittadini. “La sovranità è il contrassegno essenziale di uno Stato. Essa può essere definita come la suprema autorità che lo Stato deve avere, nell'ambito che gli è proprio, per raggiungere il suo fine, che è il bene pubblico dei cittadini, ossia la loro vita virtuosa in comune.” 
Con Maastricht e Lisbona, invece, la sovranità monetaria (e non solo) è stata ceduta alla Banca Centrale Europea, facendo piazza pulita della funzione e del concetto stesso di 'Stato'.
In particolare, con il trattato di Lisbona, abbiamo assistito al più massiccio svuotamento di competenze degli Stati mai avvenuto prima nella storia d'Europa. La nostra carta fondamentale, la Costituzione, è divenuta carta straccia, subordinata de facto alla prevalenza del diritto comunitario su quello interno. Uno stravolgimento complessivo, avvenuto tra l'altro rispettando il Codice Penale, ‘casualmente' modificato nel 2006, in modo tale che la magistratura possa intervenire rispetto a un colpo di Stato o a una minaccia all'integrità del paese solo se in presenza di “atti violenti”. Invece, con i trattati europei non vi sono stati atti violenti. Tutt'altro: una classe dirigente ha ceduto la nostra sovranità, piegando la Costituzione alle strutture del nuovo super-Stato europeo che è tutt'altra cosa di un'Europa dei cittadini.
Ad esempio, se pure si è parlato della lettera del 5 agosto 2011 inviata dalla BCE al governo Berlusconi e nonostante sia recentemente esploso il caso relativo alle dichiarazioni di Timothy Geithner sulla trama europea per far cadere quello stesso governo, in pochi hanno concentrato l'attenzione su un altro fatto gravissimo. 
Esiste infatti una lettera ancora più rilevante; quella inviata dal Commissario Europeo Olli Rehn al ministro Tremonti il 4 novembre 2011 con allegato un 'questionario' con 39 punti, in relazione ai quali il Ministro avrebbe dovuto provvedere a fornire risposte precise entro l'11 novembre, ovvero entro il giorno che poi risultò essere precedente alla dichiarazione di dimissioni del Premier Berlusconi. In ogni singola domanda, si celava una misura imposta: Tremonti avrebbe dovuto indicare se si trattava di qualcosa di già realizzato o avviato e a che punto ci si trovava, oppure se era un provvedimento già adottato dal Governo ma non ancora approvato dal Parlamento (e in questo caso, sarebbe stato necessario specificare quando ciò sarebbe avvenuto), o ancora se si trattava di una nuova azione da intraprendere (e in tal caso, si sarebbe dovuta precisare la tempistica). 
In ogni caso, era necessario fornire il budget di spesa e indicare con cura i mezzi di copertura finanziaria. Tono e contenuti della lettera e di ciò che viene definito come questionario sono una chiara riprova di chi realmente comanda e detta le cose da fare, oltre a palesare che il governo italiano è subordinato e deve eseguire.
Fra i punti messi letteralmente nero su bianco, c'erano alcune raccomandazioni-richieste alle quali non si poteva certo dire di no, per cui laddove Tremonti non poté più intervenire (dimesso Berlusconi), ci pensarono i governi di Mario Monti ed Enrico Letta, nominati senza alcuna consultazione elettorale: 
- spending review o per dirla con parole più propriamente italiane, ma indubbiamente meno affascinanti, il taglio della spesa pubblica (ci pensò il governo Letta, con la nomina a commissario alla spending review di Carlo Cottarelli, già dirigente apicale del Fondo Monetario Internazionale);
- piani per la vendita di beni statali e delle partecipazioni pubbliche in grandi aziende ancora a prevalente proprietà statale;
incremento dell'età pensionabile (decisa dal governo Monti); 
attuazione pratica del pareggio di bilancio inserito in Costituzione con la modifica dell'articolo 81, nonché la sua realizzazione anche a livello di enti locali; 
- riforma delle tasse con lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro ai consumi e ai beni immobili (aumento dell'IVA e introduzione dell'IMU di 'montiana' memoria); 
- indirizzi politici netti, come al punto 10, laddove si legge che “Il governo [italiano, NdA] ha pianificato di impiegare i fondi europei verso l'educazione, la banda larga, le ferrovie. In quali settori è stata pianificata dal governo una riduzione di fondi a compensazione?”;
- programmi di intervento sulle scuole che non otterranno risultati soddisfacenti in base ai test INVALSI;
- tipologie di contratto di lavoro da introdurre per i giovani, all'insegna dell'ormai tristemente noto concetto della flessibilità (paravento dietro il quale si cela lo scheletro del precariato); 
- riforma del lavoro;
- abolizione delle tariffe minime per le prestazioni professionali;
- abolizione delle barriere di ingresso alle professioni;
- riforma del settore idrico, “nonostante – si legge – i risultati del recente referendum”(!?);
- impostazione delle politiche del governo in materia di porti, aeroporti, infrastrutture stradali;
- riforme delle istituzioni politiche che comportino risparmi di spesa;
miglioramento della governance del paese attraverso la riduzione del numero di parlamentari.
In sostanza, in quella letterina di inizio novembre 2011, si trovavano scritte le politiche dettate implicitamente dalla Commissione Europea, che il governo avrebbe dovuto realizzare in concreto. 
E se non ci fosse riuscito? Basta chiedere a Berlusconi, Monti e a Letta per sapere cosa succede se non ci si attiene scrupolosamente ad ogni singolo dettaglio delle raccomandazioni: si va a casa e si viene sostituiti da una persona maggiormente 'grata' (gradita), come Renzi. Scrive Lucio Gallino che “Mai, nella storia della Repubblica italiana, si era vista una lettera inviata da un organismo europeo, non eletto da nessuno, che contenesse prescrizioni di riforme strutturali tanto particolareggiate e incisive, né si era visto un governo adoperarsi per obbedire e attuarle, non appena ricevute, con la massima urgenza.”. Mai la Repubblica italiana aveva subito un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo collegiale, potere esercitato dalla cosiddetta troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale) senza alcun controllo. E ora lascio ai lettori più curiosi spulciare ad esempio la Treccani per trovare il significato del termine dittatura e trarre le proprie considerazioni sulla situazione italiana. 
Situazione ancora più evidente se si considera l'introduzione di alcune misure come il Meccanismo Europeo di Stabilità o, ancor prima, del Six Pack, risalente al dicembre 2011, quando su proposta della Commissione Europea è stata imposta una sorveglianza economica e fiscale pressante su tutti gli stati membri. Si tratta di una direttiva e cinque regolamenti che dettagliano le penalità da infliggere agli Stati che non rispettano il parametro del deficit di bilancio (3% annuo sul PIL) e le modalità di riduzione del debito che dovrà essere inferiore al 60% del PIL nell'arco di un ventennio (un altro 'ventennio'!). Parte singolare e curiosa del 'pacchetto' europeo è la procedura di penalizzazione automatica, in base alla quale “le sanzioni vengono inflitte in ogni caso a un Paese che non rispetta i suoi obblighi, a meno che una maggioranza qualificata degli Stati membri voti contro. Tempo concesso per farlo, ivi comprese delibera del governo interessato, esame delle commissioni parlamentari, voto di camera bassa e camera alta: dieci giorni.” 
Altro che Mission Impossible!
Riassumendo dunque le modalità operative della troika, si noti ancora una volta che si tratta di prescrizioni apparentemente blande, ma i cui effetti reali sono forme autoritarie di potere; un potere non certo scelto democraticamente e per di più esterno all'Italia. 
E se il governo non esegue? L'abbiamo visto. Più volte. Il governo viene mandato a casa (addirittura con la scusa di una crisi interna a una delle forze di maggioranza) e si nomina un nuovo leader (ma non eravamo entrati nella 'seconda repubblica' che avrebbe evitato i cambi di governo senza nuove elezioni?), un 'capo' che possa meglio ubbidire e meglio rappresentare il potere delle banche. 
Qualche tempo fa, in Grecia, fu tutto molto evidente: a pochissimi giorni dalla proposta lanciata da Papandreou di indire un referendum sull’euro, questo dovette dimettersi. 
Al suo posto fu rapidamente collocato Lucas Papademos, ex numero due della BCE, già governatore della Banca Centrale di Atene e membro storico del ramo europeo della Commissione Trilaterale, uno di quei gruppi che prediligono il lavoro a porte chiuse, fondato nel 1973 da  David Rockefeller, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski. Alla faccia della culla della democrazia!
Ma di che democrazia si parla? Quella dove rischia di non trovare più espressione la libertà di pensiero politico o di governo scelto dal popolo (ammesso che con le nuove modifiche alla legge elettorale non decidano di abbandonare anche la parvenza democratica)? 
Non si tratta di una preoccupazione forzatamente 'esagerata' da una sensibilità euroscettica. ‘L'Europa deve diventare il nuovo spartiacque, la discriminante per definire quei partiti che possono candidarsi a governare i paesi dell'Unione . Adesso la linea di divisione [rispetto all'arco costituzionale, come ben si evince dal testo, NdA]  è se sei dentro l'orizzonte dell'Unione Europea sia pure per riformarla oppure se spari da fuori.’ 
Parola del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. 
Si sarà reso conto che bollare chi non accetta la dittatura della troika come 'fuori' dalla sua idea di democrazia o di arco costituzionale è di una gravità enorme? Sono parole dure e dal sapore amarissimo per quanti soccombono quotidianamente agli spari che arrivano 'da dentro': dalle direttive e dagli atti che piegano la nostra produzione, ai continui sacrifici richiesti per il salvataggio o la ricapitalizzazione delle banche.
È lo stesso Soros che ammette: ‘Per evitare il collasso del sistema finanziario internazionale, ci fu un accanimento terapeutico pagato di tasca propria dai cittadini dei vari paesi europei costretti a proteggere le banche dal rischio fallimento e dall’incertezza dei mercati”. Mercati che, fra l’altro, sono drogati da alcuni eserciti di questa contemporanea guerra finanziaria: dalle agenzie di rating all’arroganza speculativa di un capitalismo pronto a scommettere su tutto: dal prezzo futuro delle materie prime, al fallimento vero e proprio di interi paesi. 
Non è dunque più possibile parlare di economia reale, giacché si è assistito a una vera e propria finanziarizzazione della stessa economia. La finanza trasformata da mezzo in fine in se stesso. Un ribaltamento completo delle priorità in cui la finanza non è più al servizio dell’economia reale, ma al contrario è l’economia a essere influenzata e sempre più spesso guidata dalle decisioni prese dal mondo finanziario.

Ci siamo trovati catapultati in un sistema, quello governato dalle banche e dalle multinazionali (le cui proprietà azionarie spesso collimano e si concentrano nelle mani delle famiglie della grande finanza globale), in cui il capitale condiziona, piega e sacrifica l’uomo. Ci troviamo circondati da un’economia finanziaria per lo più virtuale poiché ogni anno avviene una movimentazione finanziaria per un valore enormemente superiore al PIL mondiale. Appunto una finanziarizzazione dell’economia basata sulla speculazione, sulla scommessa, su ‘prodotti’ artificiali e virtuali, su fondi cosiddetti spazzatura, che si trasformano abilmente in armi letali nelle mani dei banksters e delle istituzioni europee, i ‘padroni di casa nostra’.



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