venerdì 12 settembre 2014

Di seguito i primi due capitoli del libro di Alessandro De Angelis, Gesù il Che Guevara dell'Anno Zero

Capitolo Primo
La nascita delle religioni

Nel primo volume della trilogia Oltre la mente di Dio abbiamo descritto le dinamiche che portarono alla catastrofe narrata da numerose culture e nota come “diluvio universale”, catastrofe che causò la quasi totale estinzione del genere umano dovuta alla caduta di un asteroide 12.900 anni or sono.
Da quando la Terra ha iniziato ad ospitare le prime forme di vita, è stata soggetta a numerose catastrofi, quali esplosioni di supervulcani, ere glaciali, cadute di asteroidi con impatti devastanti che portarono, in più di una occasione, all’estinzione di numerose specie viventi – come i dinosauri 65 milioni di anni fa, e mammuth, castori giganti, tigri dal dente a sciabola, lupo famelico nell’ultima era glaciale causata dalla caduta dell’asteroide di cui sopra.
Noi ci limiteremo a considerare le ultime due grandi catastrofi naturali – la caduta dell’asteroide che generò il mito del diluvio universale di 12.900 anni fa e quella dell’esplosione del supervulcano a Toba in Indonesia di 74.000 anni fa – al fine di verificare le eventuali similitudini che porteranno l’uomo a concepire la nascita dei primi due dei: il dio Sole e la madre Terra.
Di seguito le prime trenta pagine del libro di Alessandro De Angelis, Gesù il Che Guevara dell'Anno Zero.

Il dio Sole e la madre Terra

L’esplosione generata dal supervulcano a Toba sprigionò nell’atmosfera 2.800 Km3 di cenere che si sparsero nell’atmosfera oscurando il sole: un cataclisma epocale. Le colonne di cenere si innalzarono per settimane e per decine di chilometri nell’atmosfera, facendo sì che il diossido di zolfo, unendosi con il vapore acqueo, formasse degli “specchietti” su cui si riflettevano i raggi solari. Non arrivando più calore sulla Terra, essa iniziò a raffreddarsi: si formarono tempeste di neve che imbiancarono il pianeta, la neve si trasformò in ghiaccio, l’anidride solforosa, cadendo a terra, rese sterili i terreni e avvelenò le acque; la temperatura degli oceani si abbassò fino a 5-6°C. Il risultato fu un’era glaciale che si protrasse per oltre mille anni e che fece sì che di 60-70 milioni di individui che popolavano il pianeta rimanessero solamente 1000-2000 superstiti in un piccola zona dell’Africa orientale. Questi sopravvissuti ripopolarono in seguito i continenti – come è risultato dagli studi degli scienziati del “Genographic Project” attraverso l’analisi dei campioni di DNA presi da popoli diversi in ogni angolo del pianeta.
Anche se con un meccanismo diverso, la caduta dell’asteroide di 12.900 anni fa portò lo stesso risultato: l’oscuramento del Sole da parte dei detriti dell’asteroide che coprirono l’intera atmosfera ed il sorgere di una nuova era glaciale. Ciò condusse ad una drastica diminuzione della popolazione mondiale e a una perdita dell’eventuale tecnologia che l’uomo aveva acquisito nell’intervallo di tempo compreso tra i due catastrofici eventi. Ciò che a noi più interessa è cercare di capire, da un punto di vista antropologico, le conseguenze che ebbero sui superstiti queste immani catastrofi, che portarono in seguito alla nascita dei primi due dei.
Immaginiamo questi uomini che videro improvvisamente il Sole oscurarsi, le temperature abbassarsi drasticamente nel giro di pochi giorni, tempeste globali che imbiancarono la maggior parte della superficie terrestre con la conseguente perdita – quasi totale – della vegetazione del pianeta, che determinò la morte degli animali erbivori prima, dei carnivori poi, e da ultimo anche quella della specie umana. Questa drastica degenerazione dell’habitat circostante portò a lotte intestine tra i vari clan prima, ed infine tra uomo e uomo, al fine di poter racimolare il poco cibo rimasto a disposizione o le carcasse degli animali deceduti. Questi uomini videro morire genitori e figli e dovettero darsi a battaglie cruente tra di loro per poter sopravvivere; riuscirono tuttavia a comprendere – raccontandolo in seguito ai posteri – che la causa di tutto ciò fu l’oscuramento del Sole, il quale, attraverso il suo calore, dava vita e sostentamento agli uomini e agli animali grazie al processo di fotosintesi clorofilliana, che permetteva il fiorire della vegetazione.
L’uomo capì quindi che il Sole, attraverso il calore, era portatore di vita per l’uomo, proprio come la Terra, la quale, attraverso la vegetazione, permetteva il sostentamento di tutte le specie animali, uomo compreso.
Questi racconti, con ogni probabilità, rimasero impressi ai posteri dei superstiti, che, per cercare di far sì che questi infausti eventi non si ripetessero, resero vive nelle loro menti queste due entità – il Sole e la Terra – affinché il primo sorgesse giorno dopo giorno senza più oscurarsi e la Terra continuasse ad essere fertile e feconda per la raccolta e la coltivazione. Iniziarono quindi a vivificare queste due entità nel proprio pensiero per potersi relazionare ad esse attraverso preghiere ed offerte, creando una nuova figura mediatrice tra l’uomo e questi nuovi dei: gli sciamani e gli stregoni. Quest’ultimi si ingraziavano gli dei attraverso canti rituali ed ossessivi, preghiere ed offerte. Ovviamente gli dei non mangiavano, ma gli stregoni sì; questa nuova funzione permise loro di esentarsi dai rischi inerenti le battute di caccia e di raccolta di cibo che gli altri uomini svolgevano in gruppo per cercare di limitarne i pericoli. Difatti circondare un’animale al fine di ucciderlo, oppure reagire in gruppo con utensili primitivi all’attacco dei feroci predatori carnivori, permetteva loro, nella maggior parte dei casi, di avere la meglio e di prevalere sulle altre specie animali. Così, mentre gli sciamani si ingraziavano gli dei, attraverso riti propiziatori e preghiere, affinché tutti tornassero illesi dalle battute di caccia, una parte della cacciagione veniva data loro come compenso per la protezione degli dei.
Il ripopolamento dell’habitat, la nascita di nuovi villaggi, che col tempo diverranno poi città ed infine stati, porteranno alla nascita di numerose altre divinità, come il dio della caccia, della pesca, dei fenomeni atmosferici e via dicendo.
Con questo escamotage sciamani e stregoni elusero i pericoli derivanti dalla caccia, prendendo per sé parte del frutto di questa, fingendo che fosse destinata agli dei che ovviamente, a differenza loro, non avevano bisogno di nutrirsi.
Ma cosa sarebbe successo – e con ogni probabilità successe – se un giorno qualcuno fosse tornato ferito da una battuta di caccia, qualcun altro menomato nella battaglia, o altri in fin di vita? Gli uomini avrebbero potuto mettere in discussione l’operato mediatico di sciamani e stregoni o addirittura dubitare dell’esistenza stessa degli dei.


La nascita del peccato

È a questo punto che le figure mediatrici inventarono il peccato come escamotage a questa evenienza. Se qualcuno fosse rimasto ferito o ucciso, gli sciamani avrebbero attribuito la colpa agli uomini, rei di aver pregato poco o donato poche offerte agli dei, attirando così la collera divina. Ed ancor di più: se essi non avessero pregato con più ardore ed aumentato le offerte, il Sole sarebbe tornato ad oscurarsi, la Terra non avrebbe prodotto più cibo, perché gli uomini avevano peccato: avevano osato mettere in discussione l’esistenza degli dei o la funzione mediatrice degli sciamani.
Questa coercizione psicologica funzionò bene a tal punto che, quando furono costruite – o per meglio dire ristrutturate – le piramidi in Egitto, i sacerdoti egiziani poterono far leva su di essa per intimorire i lavoratori dediti alla costruzione (e non agli schiavi, come è stato talvolta sostenuto), paventando il rischio che, se la piramide non fosse finita prima della morte del faraone, il Sole sarebbe sprofondato nel Nilo, facendo piombare l’uomo e la Terra nell’oscurità più totale e decretando la loro morte.

La nascita delle prime civiltà stanziali

Dopo la catastrofe del “diluvio universale”, l’uomo riscoprì l’agricoltura, inizialmente nelle alte zone montuose: sebbene non fossero le più indicate per questa attività, furono le sole a salvarsi dalla catastrofe, non essendo colpite dagli enormi tsunami che si sollevarono dopo che grossi frammenti dell’asteroide caddero nei mari, rendendo, con l’acqua salata, sterili i terreni costieri e le foci dei fiumi dove l’uomo abitualmente sostava e viveva. Con il passare degli anni, quando queste zone si bonificarono, l’uomo ritornò nelle zone costiere e nei delta dei grandi fiumi, quali il Nilo, il Tigri e l’Eufrate. Sorsero quindi le prime comunità di villaggi stanziali dediti alla raccolta e all’allevamento di ovini e bovini nei dintorni del villaggio. Il surplus di raccolta del cibo (grano in primis) veniva stipato in magazzini per poi essere ridistribuito durante i periodi di magra all’intero villaggio.
Ma non tutti si erano convertiti all’agricoltura: il nomadismo esisteva ancora in maniera diffusa. I nomadi, aggregatisi in bande, spesso attaccavano i villaggi depredando i magazzini, uccidendo gli abitanti e violentandone le donne. Ben presto furono eretti i primi muri perimetrali a difesa dei villaggi che, ingrandendosi a dismisura, divennero città, e nacquero così i primi eserciti di difesa.
Quando i predoni nomadi attaccavano le città, venivano quasi sempre sconfitti e fatti prigionieri, al fine di essere usati per i lavori più umili e faticosi. Nacquero così i primi schiavi; le città, ingrandendosi sempre di più, iniziarono a specializzarsi in lavori quali la cesellatura, l’edilizia, i sistemi idrici e fognari, la costruzione di armi e altro ancora.

Lo sviluppo delle civiltà gilaniche

Un capitolo a parte meritano le civiltà “danubiane” o “gilaniche”, che vissero per circa cinquemila anni strutturate in aggregati di villaggi senza conoscere alcuna forma di guerra, religione e potere.
Cinquemila anni di storia volutamente dimenticati dai gestori della cultura scolastica, soprattutto universitaria, in quanto scomodi da giustificare per la sopravvivenza di una cultura del potere che ha fondato le sue basi sulle discriminazioni economiche e religiose.
Il neologismo “gilania”, coniato dalla storica e archeologa Riane Eisler, deriva dalle parole greche gun» (gunè) “donna” e ¢n»r (anèr) “uomo” (la lettera “l” tra i due ha il duplice significato di “unione” – dal verbo inglese to link “unire – e di “liberare” – dal verbo greco lÚw (lùo) che significa “sciogliere”, “liberare”). Una società basata sull’uguaglianza dei sessi e sull’assenza di gerarchia e di autorità, le cui tracce si riscontrano nelle comunità del paleolitico superiore ed in quelle agricole del neolitico (8.000 – 2000 a.C.). È quindi falso l’assioma di storici ed antropologi secondo cui l’inizio della civilizzazione sarebbe stato direttamente proporzionale alla diffusione della violenza e delle guerre. Questi studi sono stati condotti soprattutto da archeologi e storici, tra cui Marija Gimbutas e Riane Eisler. Essi hanno dimostrato come, grazie al matrismo, per oltre cinquemila anni gli esseri umani abbiano vissuto in comunità egualitarie e pacifiche sino al 4.000 a.C., quando gli invasori Kurgan, in seguito ad una piccola glaciazione, si spostarono dal sud della Russia alla ricerca di zone più abitabili. Arrivati a contatto con queste civiltà, le distrussero con facilità attaccandole grazie ai cavalli (animali sconosciuti in quelle zone) e ad asce di ferro. Si passò quindi al dominio del patriarcato e alla nascita di gerarchie, classi sociali, autorità e le prime forme di religione.
È da notare che nello stesso periodo comparvero improvvisamente i sumeri con un sistema sociale basato sul patriarcato e con l’introduzione di una nuova forma di religione a struttura di potere piramidale. Difatti agli dei del pantheon veniva assegnato un numero corrispondente al loro grado di potere: al dio Anu, a capo del pantheon e padre degli dei Enki e Enlil, venne assegnato il numero più alto; sotto di lui c’era suo figlio Enlil, nato dall’unione di Anu con sua sorella, poi Enki, nato invece dall’unione di Anu con la sua concubina; il numero – e quindi il potere – decresceva nei figli e nella loro discendenza.
A parte questo, ci preme sottolineare il fatto che l’epiteto di Enlil era ILU.KUR.GAL, ovvero “signore della grande montagna”, così come suo figlio ISH.KUR, che significa “signore della montagna”. Difatti in sumero il glifo KUR indica “altura” o “montagna”, così come per il KUR dei KUR.GAN, ove il glifo KUR ha il significato di “altura”; segue la componente di sumero GANUN, accadico GANUNU, “luogo di abitazione”. Non siamo in grado di dimostrare con le prove archeologiche a disposizione che i Sumeri siano un ceppo distaccato dei Kurgan, ma di certo l’affinità etimologica dei glifi corrispondenti è significativa e rilevante, cosi come la loro comparsa nello stesso periodo dei Kurgan.
Le società neolitiche danubiane avevano per modello il culto della dea madre, non erano né matriarcali né patriarcali, ma basate sul modello del partenariato o gilania, con un funzionamento egualitario e non violento. Queste società vivevano in un modello comunitario, come si evince dalla loro architettura e dalle cerimonie religiose, i cui costi erano a carico di tutta la comunità. Quando si compievano questi rituali, al centro sedevano i poveri e i deboli, che occupavano un posto d’onore, ed anche nei siti funerari non si sono riscontrate differenze legate al sesso o alla condizione sociale, né nessun altro tipo di gerarchie. Lo sviluppo tecnologico avvenne ugualmente, ma non fu utilizzato per creare differenze di valori, né per costruire armi o strutture religiose collegate a un qualsiasi tipo di potere politico-economico. Nessun ritrovamento di armi, né raffigurazioni di guerre e di conquistatori, nessuna traccia di sacrifici umani, di schiavitù o di manifestazioni religiose a carattere dominante.
Kurgan e Sumeri, al contrario, erano governati da classi sacerdotali e guerriere, che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra, ed erano organizzate su base gerarchica ed autoritaria con una volontà di potere e di dominio fortemente distruttrice verso gli altri popoli. Così come i Kurgan, successivamente anche gli invasori Hyksos, padri degli ebrei, invasero e conquistarono l’Egitto con i cavalli, animali allora sconosciuti, con carri ed armi tecnologicamente superiori. Un’unica linea di continuità conquistatrice e dominatrice: i Kurgan per ciò che concerne le tattiche e le strategie militari di queste popolazioni nomadi, e con i Sumeri per quanto riguarda l’aspetto religioso.
Ricordiamo che la prima volta in cui il dio degli Ebrei pronuncerà il suo nome sarà in Gn 17:1-2, dove afferma: “Io sono El Shaddai, cammina alla mia presenza e sii perfetto”. Il sostantivo El ha in ebraico il significato di “signore”, mentre Shaddai deriverebbe dall’accadico Shaddu, che significa “montagna”. Secondo questa interpretazione, El Shaddai, l’epiteto con cui viene chiamato Yahweh nella Bibbia, significava in origine “dio della montagna”; la validità di questa traduzione è confermata anche da numerosi passi biblici dove si evince come il dio adorato dagli Ebrei fosse un “dio delle montagne”. La ricorrenza di questo epiteto è testimoniata diverse volte nella bibbia, come nei Salmi e nel I libro dei Re, che riportano:

Ma i servi del re di Aram dissero a lui: «Il loro dio è un dio delle montagne; per questo ci sono stati superiori; forse se li attaccassimo in pianura, saremmo superiori a loro».

Dio ha scelto a sua dimora il monte Basan, il monte delle alte cime; il Signore lo abiterà per sempre.

Inoltre è proprio sul monte Sinai – scelto come dimora – che Yahweh consegnerà a Mosè le tavole della legge.
Come abbiamo dimostrato nel I volume della trilogia, Baal Hadad era El Shaddai/Yahweh, difatti Baal corrispondeva al generico attributo di “Signore”, mentre Hadad – evoluzione accadica del sumero ISH.KUR – significava “montagna”. A sua volta ISH.KUR era un dio sumero il cui nome era composto da un gioco di parole che deriva dall’unire l’accadico ISHA (signore) con la desinenza cananea ISH (montagna), che veniva tradotto in accadico con SHADDU, che si evolverà in ebraico in EL SHADDAI; come sopra detto il glifo sumero KUR significava invece “montagna”. Anche EN.LIL, padre di ISH.KUR, era caratterizzato dall’epiteto di ILU.KUR.GAL, che aveva il significato di “Signore della grande montagna”, epiteto molto simile a quello di “Cavaliere delle Nubi” attribuito a Baal nelle tavole ugaritiche e che ritroviamo per Yahweh nei Salmi dell’Antico Testamento:

Per sette anni possa Ba‘al essere assente,
per otto anni il Cavaliere delle Nubi!

Cantate, o dèi! Inneggiate, o suoi cieli!
Spianate la strada al Cavaliere delle Nubi!
In Yahweh gioite
ed esultate dinanzi a lui!

Era infatti nelle alte zone montuose che i temporali avvenivano più frequentemente insieme a tuoni e fulmini, con un maggior numero di addensamento di nubi.
Riassumendo, attraverso una traslitterazione e una evoluzione secolare, il “Signore della Montagna” fu traslitterato da Enlil ad Ishkur, da Ishkur a Baal Hadad e da quest’ultimo a Yahweh. Ben sapevano i padri degli Ebrei tutto questo, tanto che il dio Baal lo ritroviamo citato numerosissime volte nell’Antico Testamento, e laddove gli Assiri non riuscirono ad esecrare il loro tentativo di monoteismo su Baal ci riusciranno invece gli Ebrei attraverso la sua traslitterazione nel dio biblico Yahweh. Difatti sia Yahweh che Baal erano entrambi figli del dio Ilu, l’Ilukurgal o Enlil degli dei sumeri, che aveva come figli sia Baal che Yaw o Yam, da Yaw/el o signore Yaw nascerà il dio Yahweh che assorbirà sia l’epiteto di Baal “cavalcatore delle nubi”, sia la dea Asherah o Attiratu, moglie di suo padre Ilu, come risulta da un’iscrizione paleo-ebraica dell VIII sec a.C., dove si legge: “Ti benedico tramite Yahweh e tramite la sua Ašerah”.


Nelle fonti bibliche dell’Antico Testamento troviamo ulteriori conferme della convergenza di Ba’al su Yahweh, in quanto numerosi passi biblici testimoniano il passaggio dall’uno all’altro dio, come ad esempio nel caso di Giudici 6: 25, dove si può evincere come Israele tributava al dio Ba’al un culto già al tempo del giudice Gedeone.
Lo stesso giudice Gedeone porta inizialmente un nome, Ierrubaal, composto con quello del dio Baal, di cui in seguito distrugge l’altare tagliandone l’Asherah, per comando di Yahweh, tornando poi gli Israeliti in seguito a servire i Baalim e le Astarti.
Anche nel I libro di Samuele (7:4 e 12:10) si racconta che la casa d’Israele al tempo di questo profeta abbandona pentita i Baalim e le Astarti.
Ancora nel I libro dei Re, al capitolo 16, il Re Ahab di Israele edifica in Samaria un santuario e un altare di Baal, mentre nel 18° capitolo vengono presentati i profeti di Baal, sconfitti in una gara e poi fatti sterminare da Elia.
Al capitolo 22 troviamo ancora Baal servito da Ahazia Re d’Israele, mentre nel capitolo 10 del II libro dei Re viene presentata la strage dei fedeli di Baal sotto Iehu, annunciata da Elia, e si narra della distruzione del santuario di Baal in Samaria.
Ricordiamo che, quando gli invasori proto-Ebrei Hyksos invasero l’Egitto, importarono l’adorazione del dio Baal scegliendo il dio Egizio Seth, tra gli dei Egizi, per affinità elettive con il loro dio.
Fu solamente in seguito alla loro cacciata che cercheranno di imporre il monoteismo, traslitterando Baal in Yahweh, compresa la sua sposa Asherah.
Per questo motivo, in numerose attestazioni epigrafiche ritroviamo per Baal il medesimo epiteto attribuito a Yahweh nell’Antico Testamento, ovvero Adonay, attestato nella Bibbia con 439 ricorrenze.
In alcune di queste epigrafi ritrovate a Cartagine leggiamo: “Alla signora, a Tanit volto di Baal, e al Signore, a Baal Hammon, al quale è votato Adonibaal, figli d’Himilkat, figli di Baalhanno”.
Tanit era il corrispondente cartaginese della dea Astarte e Asherah, consorte di Baal; di fatto nell’iscrizione epigrafica possiamo leggere nomi come Adonibaal, dove a Baal viene attribuito uno dei più

importanti epiteti riferiti a Yahweh nell’Antico Testamento: Adonay, che in ebraico significherebbe “mio Signore”.
Il passaggio dal dio Baal a Yahweh non fu indolore per il popolo israelita, difatti al capitolo 17 del II libro dei Re leggiamo che i figli d’Israele “rigettarono tutti i precetti di Yahweh, loro Dio, e si fabbricarono simboli fusi, due vitelli, costruirono un’Asherah e si prostrarono davanti a tutta la schiera celeste ed adorarono Baal”.
Inoltre Baal era adorato anche nel Tempio di Gerusalemme, come viene confermato dalla riforma di Giosia (648-609 a.C.), ove si menziona la distruzione degli oggetti relativi al culto di Baal nel Sacro Tempio, nonché l’eliminazione dei sacerdoti che offrivano incenso a Baal.
Vorremmo però porre l’attenzione su un importantissimo passo che troviamo in Geremia 9:12, dove si parla degli Ebrei che “seguirono i Baalim che i loro padri fecero loro conoscere”.
Questa potrebbe essere la conferma che gli invasori Hyksos erano i padri degli Ebrei che nel 1750 a.C. annetterono l’Egitto al loro dominio, importando il loro dio Baal, in seguito traslitterato in Yahweh, facendogli assorbire inoltre le caratteristiche degli altri dei sumeri come Enlil, Enki, Ishkur, Marduk ecc..
Presso gli antichi Ebrei il culto di Baal era dunque tradizionale, ed aveva i propri santuari sia a Gerusalemme che in Samaria.
Sarà solamente in seguito, con la nascita del primo monoteismo, che molti Israeliti abbandonarono Baal facendolo convergere, con caratteristiche comuni, con Yahweh, il dio dell’antico Testamento ancora oggi adorato da cristiani, ebrei e musulmani.
Gli Ebrei furono gli ultimi a costruire il loro dio e gli ultimi a costruire il figlio di Dio, cioè quel Gesù che, come vedremo nei prossimi capitoli, fu creato sulla base di di un personaggio in carne ed ossa realmente esistito per essere divinizzato come l’ultimo soter e dio solare.
Come le società gilaniche, anche quelle essene (dove viveva Gesù) erano società dove le risorse erano distribuite in maniera eguale nella collettività a seconda delle esigenze dei singoli individui, tanto che, in un passo del Nuovo Testamento, Simon Pietro uccide due anziani coniugi, Anania e Zaffira, per aver venduto un loro terreno trattenendo di nascosto una parte del ricavato in denaro per sé.
Scovato l’inganno da Simon Pietro, vennero entrambi uccisi per opera dello spirito santo, che scoprirete poi essere una metafora per non far trasparire l’apostolo Pietro come un rivoluzionario senza scrupoli e sempre pronto con la spada. In ogni caso, ciò che si vuole evidenziare è che queste società, quando furono annesse all’impero, rifiutarono la tassazione forzata dei romani, e gli uomini ad esse appartenenti lottarono fino alla morte per contrastare il disegno di potere dell’impero romano.
Iniziamo ora a vedere il contesto storico in cui sarebbe vissuto l’uomo più famoso della storia di questo pianeta: un uomo fatto divenire icona, mito e divinità, dal nome di Gesù.

Capitolo Secondo
Gesù: il Che Guevara dell’Anno Zero

Immaginate un talebano che si metta a predicare amore verso gli americani, esortandoli a pagare le tasse ad Obama. Sarebbe immediatamente ucciso dai suoi connazionali. Eppure questi rivoluzionari, se paragonati agli Zeloti (rivoluzionari dell’epoca di Gesù), sarebbero docili agnellini. Difatti, in quell’epoca vi furono migliaia di crocifissioni da parte dei Romani verso questi rivoluzionari. che incendiavano i villaggi dei Samaritani che pagavano le tasse ai Romani. La prima guerra giudaica (66-74 d.C.) finì in un vero e proprio bagno di sangue con oltre 600.000 morti. Parlare di un Gesù che in quel periodo invitava i suoi connazionali a pagare le tasse ai Romani dicendo “date a Cesare quel che è di Cesare” e predicando amore verso il prossimo è un’eresia storica non plausibile in quel contesto. In tutte le omelie che si fanno nelle chiese, non vengono mai citate frasi scomode relative a un Gesù rivoluzionario quali le seguenti:

Gesù entrato nel tempio si mise a scacciare coloro che vendevano e compravano nel tempio; rovesciò le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi.

Non crediate che sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada.

Allorché i discepoli furono respinti dagli abitanti di un villaggio samaritano, ritornarono da Gesù e gli chiesero: Signore vuoi che facciamo discendere su di essi un fuoco che li distrugga?
Chi non ha la spada venda il mantello e ne compri una, perché vi dico per quel che mi riguarda volge alla fine. Gli apostoli risposero: signori, ecco qui due spade.

Allora quelli che erano con lui, vedendo che lo stavano catturando, dissero: signore dobbiamo colpire con le spade?

Simone che aveva una spada la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote.

Non sono venuto a portare la pace, ma ferro, fuoco e guerra.

Se io vi dicessi di non essere venuto a portare la pace, ma un mitra, oppure di vendere la vostra macchina per comprare un Kalašnikov, sarebbe interpretato da voi come un’incitazione alla rivolta o alla guerra; ma il mitra può essere rapportato alla spada di quel tempo, così come un’automobile ai costosi mantelli dell’epoca.
Iniziamo allora ad analizzare il contesto storico che portò all’occupazione romana in Palestina per capire il motivo delle rivolte che vi furono ed i personaggi coinvolti, per arrivare a vedere dove si muoveva il pacifico predicatore Gesù secondo la favola dei vangeli e per capire quali sono gli eventuali legami, che dimostreremo più avanti, con i legittimi eredi al trono spodestati dai romani, ovvero la famiglia reale degli Asmonei.
Ripercorriamo le tappe che portarono alle guerre giudaiche partendo dalla morte di Giovanni Ircano I, a cui succedettero: Aristobulo I (104-103 a.C.), figlio di Giovanni, che conquistò la Galilea, Alessandro Ianneo (103-76 a.C.), fratello di Aristobulo I, padre di Ircano II ed Aristobulo II, cui succedette Alessandra Salomé (76-67 a.C.), vedova di Alessandro Ianneo, alla cui morte si scatenò una lotta di successione tra i figli Ircano II e Aristobulo II.

Dopo essere stato spodestato da suo fratello Aristobulo II, Ircano si rivolse a Pompeo che nel 63 a.C. aveva appena conquistato la Siria. Pompeo cercò di risolvere la situazione per via politica, eleggendosi giudice della diatriba.
Pompeo, considerando  Aristobulo II più pericoloso per Roma, lo detronizzò ed riassrgnò il regno Ircano II con cui si alleò, ritenendolo più debole e malleabile.
Quello che potremmo definire il partito dei ‘nazionalisti’ giudaici si schierò allora con con Aristobulo II, e diede inizio a una sanguinosa ribellione contro Ircano II.
Pompeo, inviò truppe in aiuto di Ircano II, portando così alla prima occupazione romana della Palestina, come attestato nei suoi scritti dallo storico ebreo del I secolo d.C. Giuseppe Flavio.
Una volta morto Aristobulo, “i suoi discendenti continuarono la lotta di rivendicazione al trono della Giudea contro Ircano II”.
Pompeo cercò di riprendere in mano la situazione riducendo il potere di Ircano II. Dopo averlo degradato a tetrarca, per placare gli animi dei rivoluzionari, gli affiancò Erode Antipatro, capostipite della dinastia Erodiana, come ministro.
Dopo Pompeo, Giulio Cesare riconfermò al trono di Gerusalemme Ircano II, che venne poi fatto prigioniero nella guerra contro i Parti.
A questo punto Erode il Grande, figlio di Erode Antipatro, dopo aver ottenuto il favore dei Romani, nel 37 a.C. si pose sul trono.
Alla sua morte, nel 4 a.C., il suo regno venne suddiviso fra i suoi figli: a Erode Archelao (4 a.C.-6 d.C) vennero assegnate la Giudea e la Samaria; a Erode Antipa (4 a.C.-39 d.C.), la Galilea e la Perea; a Erode Filippo (4 a.C.-39 d.C.), la parte nord-orientale del regno.
Nel frattempo i rivoluzionari proseguirono nella loro azione, il cui apice fu la rivolta scatenata da Giuda il Galileo (della città di Gamala, Giuda figlio del rabbi Ezechia, un rivoluzionario vissuto durante il regno di Ircano II e assassinato da Erode, era fondatore della setta degli Zeloti e raccolse l’eredità politica del padre).
Dopo che la Palestina fu annessa, nel 6 d.C., alla Siria, diventando così una provincia romana, Publio Sulpicio Quirino bandì un censimento della popolazione della Giudea per valutare la forza ed il patrimonio di Archelao. Fu proprio il censimento a provocare la rivolta capeggiata da Giuda il Galileo.
Questi era padre di cinque figli: il primo-genito Giovanni/Gesù, poi Simone, Giuda, Giacomo e Menahem/Giuseppe, che diventeranno gli apostoli del cristianesimo.
Di queste guerre e di Giuda il Galileo ci parlano alcuni documenti storici del I secolo d.C., quali Antichità Giudaiche e Guerra Giudaica del già citato Giuseppe Flavio, anch’egli discendente, da parte di madre, dalla famiglia reale degli Asmonei e appartenente alla stirpe sacerdotale.
Giuseppe Flavio fu anche comandante dell’esercito giudaico nella lotta antiromana e governatore della Galilea; dopo la sua cattura, divenne consigliere dell’imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito; nei suoi libri sono descritte dettagliatamente le vicende storiche accadute nella Palestina di quegli anni.

Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia. Questa scuola concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone.
Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di chiamare un uomo “padrone”.

V’era Giuda, figlio del capo bandito Ezechia, che era stato uomo di grande potere e fu catturato da Erode solo con molta difficoltà.
Questo Giuda, a Seffori, in Galilea, mise insieme un numero di uomini disperati e assalì il palazzo reale, prese tutte le armi che vi erano immagazzinate, armò ognuno dei suoi uomini e se ne andò con tutte le proprietà che poté prendere.
Divenuto ormai lo spavento di tutti, depredava quanti incontrava, aspirava a cose sempre più grandi, la sua ambizione erano ormai gli onori reali, premio che egli si aspettava di ottenere non con la pratica della virtù, ma con la prepotenza che usava verso tutti.
Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai Romani e ad avere, oltre Dio, padroni mortali. Questi era un dottore che fondò una sua setta particolare [gli Zeloti], e non aveva nulla in comune con gli altri.

Lo stesso epiteto di Zeloti viene attribuito nei Vangeli agli Apostoli/fratelli di Gesù, come vedremo nei prossimi capitoli.

I termini che indicavano i combattenti messianisti zeloti sono:

− in ebraico Qanana (Cananei) e Bariona;

− in greco Zelotes e Lestes;

− in latino Sicarii, Latrones e Galilaei (Sicari, Ladroni e Galilei).

Gli Zeloti ebbero inoltre stretti rapporti con la comunità essena di Qumran, la località dove recentemente sono stati scoperti i famosi Manoscritti del Mar Morto, e dove si ritrovano le tracce che collegano la comunità essena a questi rivoltosi, come ad esempio il Rotolo della guerra.
Ippolito Romano ci dice degli esseni:

Sono divisi fin dall’antichità e non seguono le pratiche nella stessa maniera, essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all’estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta [non ebraica] asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in una città per timore di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri udendo qualcuno discorrere di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si lascia circoncidere; qualora non acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è

appunto da questo che hanno preso il nome di Zeloti, e da altri quello di sicari. Altri ancora si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte.

Il movimento rivoluzionario degli Zeloti fu dunque molto vicino a quello degli Esseni, soprattutto durante gli anni della prima guerra giudaica, quando nel 66 d.C. si riunirono dando luogo a una nuova rivolta, contrastata da Vespasiano prima e da suo figlio Tito poi. Conquistarono Gerusalemme nel 70 d.C., saccheggiando e distruggendo le mura del Tempio. La rivolta fu sedata nel 74 d.C. con la presa di Masàda, presidio degli Zeloti capeggiati da Eleazaro, ultimo discendente di Giuda.
Nelle opere storiografiche di Tacito e di Giuseppe Flavio si narra che in questa grande rivolta persero la vita almeno seicentomila ebrei, corrispondente a circa la metà del popolo palestinese.
Negli anni 115/117 d.C., sotto l’imperatore Traiano, ci fu un’altra ribellione guidata dalle comunità ebraiche, conosciuta come Seconda guerra giudaica, anch’essa soffocata nel sangue con altrettanti morti.
Un’altra ancora scoppiò quando l’imperatore Adriano pose nel tempio di Gerusalemme la statua di Giove Ammone, un idolo pagano.

La terza guerra giudaica si ebbe infine nel 132 d.C. e provocò la sconfitta di due legioni romane e l’occupazione di Gerusalemme da parte di Simone Bar Kochba e dei suoi uomini. Bar Kochba fu eletto dai Giudei re di Gerusalemme e Messia, per poi essere sconfitto e ucciso nel 135 d.C. da cinque legioni romane, inviate dall’imperatore Adriano, che rioccuparono la città. Siamo arrivati all’anno 135 d.C.: riassumendo, Simone Bar Kochba, dopo aver conquistato Gerusalemme, fu eletto nuovo Messia d’Israele. Fino a questo momento, di Gesù non vi è alcuna traccia nella storia: ancora in attesa di un Soter che li avrebbe dovuti portare alla vittoria contro le tirannie dell’invasore romano, gli Ebrei arrivarono ad ‘eleggere’ Messia Simone Bar Kochba.
L’unico scritto che ci parla di Gesù è il Nuovo Testamento, oltre alle
interpolazioni ed aggiunte come il Testimonium Flavianum, che dimostreremo essere un clamoroso falso.

Iniziamo quindi un’analisi che ci porterà a riscrivere duemila anni di storia ufficiale, duemila anni di menzogne e falsità, che fanno da contraltare alle frasi dei Vangeli di Gesù, di seguito riportate:

1) “Date a Cesare ciò che è di Cesare”;

2) “Beati i poveri perché vostro è il regno dei cieli”;

3) “Molti dei primi saranno gli ultimi e molti degli ultimi saranno i primi”;

In un periodo in cui vi fu la carestia (tanto che la regina Elena mandò grano dall’Egitto in aiuto alle popolazioni del luogo) e in cui i romani imponevano tasse pesanti come fardelli insostenibili, un Gesù che avesse osato dire di dare a Cesare quel che è di Cesare, invitando i suoi connazionali a pagare le tasse ai romani, e inneggiare alla povertà, avrebbe commesso un autentico suicidio: sarebbe stato immediatamente lapidato dai suoi stessi connazionali.

Vediamo ora i vari passaggi che portarono alla costruzione dei primi proto-vangeli, e quindi dei personaggi vetero-testamentari.
Negli anni  139-144  d.C., Marcione (figlio del vescovo della città di Sinape) si trasferì da Antiochia a Roma, portando con sé una copia del Diegesis, un libro che verrà tradotto in greco ed in latino e costituirà la base comune per la stesura di altri vangeli, tra i quali lo stesso Vangelo di Marcione.
Egli iniziò a diffondere notizie sulle ipotetiche figure di Paolo di Tarso e di Luca, sino ad allora illustri sconosciuti, poi inizierà a costruire il “messia” facendolo discendere da Cafarnao nell’anno 15 del regno di Tiberio, non come uomo in carne ed ossa ma di un puro spirito, con la conseguenza di essere allontanato dalla setta di Roma, che propendeva per la figura di un messia umano e divino al tempo stesso, morto su una croce.

Durante il suo soggiorno a Roma in qualità di vescovo, tra il 140 ed il 144, Marcione avrebbe anche tentato di definire un canone di tutti gli scritti utili alla nuova religione, escludendo completamente i libri del Nuovo Testamento. Per questo motivo la comunità giudaico-esseno-cristiana locale lo allontanò nel 144 d.C., dando luogo al primo scisma nella storia della cristianità e creando una nuova corrente religiosa, il marcionismo, destinata a durare per qualche secolo.
Il VAngelo di MArcione potrebbe essere il primo in senso assoluto, ad essere stato scritto, ed è assai probabile che dal questo sia stato ricavato il Vangelo di Luca, che gli corrisponde per un buon 70%..
Tra il 150 e il 160 d.C. si verificò una scissione tra la maggior parte degli ebrei della ex Nuova Chiesa di Gerusalemme, che non aderivano più alla sinagoga, e che cominciarono a distinguersi in ‘materialisti’ sostenitori dell’incarnazione e ‘gnostici’, i quali asserivano che il messia spirituale non era un uomo, bensì che discendeva dal cielo, assumendo dell’uomosolamente l’apparenza.

Solamente a questo punto, dopo 120 anni dalla sua presunta morte, iniziò a comparire il nome di Gesù: nessuno scrittore ne aveva mai parlato prima, ed a quest’epoca risalgono alcuni vangeli gnostici ritrovati in Egitto a Nag Hammadi, nel 1945.

Poi negli anni 170-180 d.C. apparvero i vangeli attribuiti ai quattro evangelisti. Questi vangeli, copiati per gran parte da quello di Marcione, cercavano di storicizzare la figura di Gesù, facendo interagire gli inventati personaggi veterotestamentari con personaggi storici realmente esistiti. Nessuno di questi testi contiene accenni sulla nascita e sull’infanzia di Gesù, che vennero aggiunti solamente in seguito nei vangeli di Matteo e di Luca, a partire dal III-IV secolo, introducendo le figure di Maria e di Giuseppe.Questi vangeli furono scritti originariamente in greco − in quanto molti nomi usati sono di derivazione greca − e non si conosce nessuna traduzione in altre lingue prima del 200 d.C..
Alcuni storici credono che il Vangelo di Giovanni (con relativa Apocalisse) sia la riscrittura di analoghi testi di Cerinto, operata per allinearli alla credenza ortodossa cristiana che allora si stava affermando.
Ma nonostante questo mantennero una forte connotazione gnostica.
Di Cerinto si sa molto poco, solo chenato ad Efeso o ad Antiochia, nel II secolo d.C. Non credeva che il mondo fosse stato creato da Dio, bensì da un Demiurgo oppure da alcuni angeli, cosi come per tante religioni più antiche quali il Mazdeismo.
Venne cacciato dalla setta di Roma per eresia.
Come il vangelo di Giovanni abbia potuto entrare a far parte del canone della chiesa romana, malgrado la sua spiccata connotazione gnostica, rimane a tutt’oggi un mistero.

Giustino Martire, uno dei più importanti padri della chiesa, nei suoi scritti (150 d.C.), per sostenere la divinità del Cristo, citò centinaia di volte il Vecchio Testamento ed altri libri apocrifi ma non citò mai i vangeli, ignorando completamente i nomi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
Il primo riferimento storico riguardante i vangeli venne trovato da L. A. Muratori presso la Biblioteca Ambrosiana nella prima metà del XVIII secolo: il Codice Muratoriano (pubblicato nel 1740).
In esso vennero, per la prima volta, citati Luca e Giovanni. Il documento originale risulta risalire al 170 d.C. circa. Fu in questo periodo che prese forma il concetto di resurrezione corporea di Gesù; prima di questa data sembra non esservi nessun accenno a tale evento. Anche il Vangelo di Filippo, rinvenuto a Nag Hammadi, nega sostanzialmente la resurrezione corporea di Gesù.
Nel decennio successivo, tra il 180 ed il 190 d.C., la stesura dei vangeli canonici e quelli che in seguito verranno giudicati apocrifi, suscitò da parte degli esponenti della cultura pagana reazioni contrarie.
Il più noto di questi contestatori della nuova teologia fu Celso, autore di un’opera intesa a smontare, pezzo per pezzo, le storie diffuse con i vangeli. Secondo Celso, quello che i vangeli spacciavano per “figlio di dio” non era altro che il figlio adulterino di una filatrice e/o sarta ebrea, sposata con un carpentiere, che fu sedotta da un soldato romano di nome Panthera. Madre e figlio seguono successivamente il soldato trasferito in Egitto, e qui il ragazzo sarebbe stato iniziato a quelle arti magiche di cui farà grande uso durante la sua “strana carriera” di pseudo profeta.
Celso riteneva che i presunti miracoli di Gesù, che si era proclamato figlio di una vergine, non fossero altro che abili giochi di prestigio appresi in Egitto; inoltre negò la resurrezione di Gesù, su cui, in effetti, non esiste alcuna testimonianza diretta. Su Celso, filosofo di formazione platonica, abbiamo scarsità di notizie. Il clero cristiano si è dato attivamente da fare per distruggere tutte le sue opere.
La sua esistenza e la sua attività ci sono note perché altri autori, dopo di lui, lo hanno citato e riportato nei loro scritti per sostenere o contestare le sue opinioni: vedi Origene, Porfirio e tanti altri. Ecco alcune delle sue affermazioni: “E’ noto che tutto quello che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti a seguito delle critiche che vi venivano rivolte. Colui al quale avete attribuito il nome di Gesù, in realtà non era altro che il capo di una banda di briganti”.
E’ tra il 190 ed il 200 d.C. che si suppone abbia visto la luce  l’Apocalisse o rivelazione dell’evangelista Giovanni. Il testo era nato per terrorizzare i seguaci, coercizzandoli psicologicamente, prendendo spunto da quanto già scritto su vari libri di questo genere, come quello di Zoroastro. Poi, dal 200 al 240 d.C., iniziarono ad apparire le prime immagini di Cristo, raffigurato come maestro seduto insieme ai suoi discepoli, o come un pastore con il gregge, o con un agnello sulle spalle ripreso dal culto di Serapide, ed anche come un agnello inchiodato sulla croce.
Il Cristo originariamente non raffigurava Gesù, ma un Messia o unto del Signore. È solamente nella seconda metà del II secolo che iniziò ad apparire il personaggio di Gesù e a diffondersi.
In questi anni vennero prodotte decine di vangeli da parte delle innumerevoli sette neo-cristiane. Molti di essi verranno considerati apocrifi nel corso del Concilio di Nicea (325 d.C.); altri dureranno alcuni secoli e verranno poi eliminati dalla chiesa.
Nel 258 d.C. l’imperatore Valeriano cercò di porre fine alle tumultuose discordie che nacquero tra le varie correnti “giudeo-cristiane” in seno alle comunità ebraiche, ordinando arresti, condanne ed espulsioni; poi, nel 274 d.C., l’imperatore Aureliano introdusse a Roma il culto del Dio Sole, cercando di imporlo come culto di stato, edificando un tempio/santuario dedicato a questa divinità e proclamando il 25 dicembre giorno di festa in onore del nuovo dio, del quale l’imperatore stesso si era fatto supremo sacerdote.
Un altro anno importante è il 303 d.C., quando Diocleziano emanò un decreto per la soppressione delle sette giudeo-cristiane, passando alla storia come uno dei più accaniti persecutori dei cristiani.
Diocleziano, sposato con una cristiana, fu nei primi 17-18 anni del suo regno alquanto tollerante verso i movimenti giudaico-cristiani. Acconsentì che a Nicomedia, di fronte al suo palazzo, fosse costruita una delle più grandi chiese dell’antichità.
Le cose si guastarono sia per le pressioni di Galerio (che dei cristiani aveva la massima diffidenza), sia per l’atto sconsiderato di un cristiano protervo e fanatico, che con un gesto offensivo cercò di mettere in dubbio l’autorità imperiale di Diocleziano.
La reazione dell’imperatore fu conseguente:

− abbattimento della chiesa di Nicomedia;

− arresto e condanna di 200 capi fanatici sparsi su tutto il territorio  dell’Impero.

Abbiamo accennato al Concilio di Nicea. Quetso fu indetto dall’imperatore Costantino I, e rappresenta una data fondamentale, perché fu in questa occasione che si giunse ad un accordo (in realtà forzoso, dato che i vescovi contrari alle direttive dell’imperatore furono destituiti ed esiliati) sui dogmi della fede, destinati a diventare la base della chiesa cattolica cristiana, controllata dall’imperatore.
Si trattò, senza mezzi termini, di stabilire, per gli appartenenti alle nuove sette cristiane, che cosa e a quale dio credere con il beneplacito imperiale. Venne quindi riformulato e reso standard un credo cristiano accuratamente ripulito da tutti quegli elementi di natura messianica strettamente legati al movimento Jahvista.
Come è ben noto, durante questo concilio i termini Gesù e Cristo vennero fusi per la prima volta nella frase ambigua “Gesù Cristo” (non Gesù il Cristo), conciliando le richieste delle numerose correnti principali, le più importanti delle quali si riferivano a:

− Hesus dei Druidi;

− Joshua/Jesus per gli apostati israeliti della Nuova Chiesa di Gerusalemme;

− Horo/Iusa degli egizi;
-  Ies/Iesios per i seguaci di Dioniso/Bacco;

− Krishna/Cristos originari dell’India;

− L’Unto dei Giudei;

− Krst per gli egizi.

Il processo di fusione e di unificazione delle varie fazioni non fu immediato, bensì lungo e lento, tanto che seguirono almeno altri ventuno concili convocati per stabilire le politiche e le dottrine del culto unificato.
Il fatto che i documenti autografi originali dei vangeli canonici ed apocrifi non siano più disponibili è dovuto alla decisione del concilio di distruggere tutti i testi non ritenuti validi ed adeguati al nuovo culto. Vecchia abitudine a suo tempo introdotta da Ireneo, vescovo di Lione, e da Atanasio, vescovo di Alessandria. Si parla comunque di 200 documenti eliminati.
In questo contesto si conservarono copie dei quattro vangeli ufficiali “canonici”, alcuni vangeli apocrifi ed altri documenti sottoposti successivamente al famigerato “ritocco” di Anastasio.
Altro accordo fondamentale per il nuovo credo fu quello di “stabilire d’ufficio” che Gesù e Dio sono in sostanza la stessa cosa: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, consustanziali: fu così che Gesù fu divinizzato. Qualcosa del genere era già stato affermato, circa 3500 anni prima, nei testi della religione egizia, in riferimento ad Osiride e al figlio Horo: “Io e mio Padre siamo uno”.
I primi a farne le spese furono gli “Adozionisti”, che ritenevano Gesù nato da un naturale rapporto sessuale tra Giuseppe e Maria. Ritenevano che solo in un secondo tempo, al momento del battesimo impartitogli da Giovanni Battista, Gesù fosse stato “adottato” da Dio che gli conferisce i poteri necessari alla sua missione terrena.
La religione cristiana divenne religione ufficiale di stato dell’Impero Romano con gli Editti di Tessalonica  e di Costantinopoli, emanati dall’Imperatore Teodosio I, dietro suggerimento di Ambrogio da Milano. Con questi editti tutti gli altri culti vennero aboliti e dichiarati fuori legge; i loro beni ed i loro templi furono confiscati e devoluti al nuovo clero. Vennero eseguite le prime condanne a morte a carico dei presunti eretici.
Nel 331 d.C. Eusebio di Cesarea informò di aver ricevuto dall’imperatore Costantino l’ordine di produrre 50 copie della Bibbia, e nel 337 d.C. il Papa Giulio I fissò la data di nascita di Gesù al 25 dicembre, sempre per ordine di Costantino.
Nel 356 d.C. venne sancita in tutto l’impero la pena di morte per coloro che continuavano a seguire i culti religiosi pagani, fino al 361, quando Giuliano diventò imperatore a Roma e si dimostrò tollerante nei confronti di tutte le religioni, ristabilendo la libertà di culto, con grande acredine del clero cristiano che lo ribattezzò “Giuliano l’Apostata”.
Alla morte di Giuliano, i cristiani ripresero saldamente il potere e ristabilirono la pena di morte per coloro che praticavano i riti pagani; in seguito il vescovo di Alessandria, Atanasio, nel 367 stabilì quali erano i libri che dovevano far parte del nuovo testamento, compresi i quattro vangeli canonici.
Le 376 d.C., su ordine dell’imperatore, la data del 25 dicembre viene assegnata alla celebrazione del culto cristiano (sopprimendo quello di Mitra) che nel 380 venne dichiarato nuova unica religione dall’imperatore Teodosio a Tessalonica.
Nei seguenti cinque anni a Costantinopoli, sempre da Teodosio, venne inventato lo Spirito Santo, che si aggoiunse a Gesù e Dio, per ufficializzare la nascita della nuova Trinità, riprendendola dal modello di altri culti preesistenti, come quello Egizio.
Il 4 febbraio 1859 il Dr. Tischendorf, uno studioso biblico tedesco professore di teologia, scoprì 346 fogli di un codice antico in una stanza del monastero di santa Caterina, che si trova sul Monte Sinai. Erano scritti in greco su pelle d’asino e su di essi vi erano incisi il Vecchio ed il Nuovo Testamento, datati al 380 d.C..
Era la più antica Bibbia mai ritrovata: la Bibbia Sinaitica, ora in mostra nella British Library di Londra; essa venne acquistata nel 1933 dal British Museum di Londra, che la comprò dal governo sovietico per centomila sterline.
Il British Museum di Londra la sottopose a numerosi esami all’ultravioletto, rivelando numerose sostituzioni di passaggi compiuti da almeno nove differenti redattori, grazie ai pigmenti d’inchiostro trattenuti in profondità nella pelle su cui è scritto il testo. La Bibbia Sinaitica contiene tre vangeli oltre ad altri antichi scritti cristiani, quali La Missiva di Barnaba e il Pastore di Erma.
Se si fa un confronto tra il Nuovo Testamento della Bibbia Sinaitica con il Nuovo Testamento odierno, si possono accertare ben 14.800 alterazioni. Ma ciò che saltò subito agli occhi, creando un giustificato allarme nella Chiesa, non fu tanto ciò che vi era scritto, ma ciò che mancava rispetto alle altre bibbie di epoca più recente, e cioè la miracolosa nascita verginale di Gesù e la sua resurrezione in cielo.
Gli studiosi conclusero che il vangelo di Marco, che la chiesa stessa riconosce come il primo vangelo scritto, fu redatto da Eusebio di Cesarea; al primo vangelo si aggiunsero poi quelli di Luca e Matteo, da esso dipendenti.
Il vangelo di Marco nella Sinaitica presenta l’apparizione di Gesù sulla terra all’età di trent’anni, come il Vangelo di Giovanni, e non si fa nessun riferimento a Maria e alla sua nascita da parto verginale, né di Erode e della strage dei bambini.
Inoltre non vi è nessun riferimento alla linea di discendenza davidica di Gesù, e neppure vi sono le oltre 500 parole che oggi troviamo nel Vangelo di Marco delle bibbie odierne ai versetti 16:9-20, quelle che raccontano della resurrezione e dell’ascensione in cielo, narrazioni mancanti anche nella Bibbia Alessandrina, Vaticana, di Beza, Armena, Etiopica, Anglosassone e nel codice K di un antico manoscritto in latino di Marco. “Se Cristo non è risorto, la nostra fede è inutile”, disse Paolo di Tarso.
Il Vangelo più contraffatto è quello dell’evangelista Luca, con oltre 10.000 parole aggiunte rispetto alla Bibbia del Sinai: la frase “e fu trasportato in cielo” non appare in nessuno dei più antichi Vangeli di Luca; non compaiono neppure i versi da 6:45 a 8:26, denominati dalla Chiesa “la grande omissione”, nè i passi riguardanti l’ultima cena, tutti inseriti nel XV secolo, come scoperto dal Dr. Tishendorf.
Nel 1562 il Vaticano creò un ufficio censorio, l’Index Expurgatorius, con il compito di eliminare dai Vangeli i passaggi scomodi, definendoli erronei, dei primi padri della chiesa, arrivando così a costruire il Nuovo Testamento che oggi conosciamo.

Nessun commento:

Posta un commento